giovedì 29 novembre 2012

Noi nella scuola siamo ottimisti e speranzosi: siamo costruttori.

(intervento di Ubaldo Grimaldi del 28 agosto 2003 ad un incontro pubblico sul tema: DIRIGERE SCUOLE PER IL LAVORO: LA SFIDA DEL “SECONDO CANALE”. Di mio, c'è soltanto la formattazione)

Io credo che in tutti questi ragionamenti che stiamo facendo ci sia un deficit di partecipazione da parte del personale delle scuole. Questa cosa la ritengo essenziale ed importante. Dovendo parlare di futuro canale o di quello che sarà dai caratteri non ancora definiti, comunque occorre la presenza, la partecipazione e l’impegno degli operatori della scuola attualmente sul campo: sarebbe il caso e sarebbe sicuramente utile organizzare forme di partecipazione significativa e sistematica alla elaborazione di percorsi, all’elaborazione dei pezzi di cui questo percorso è costruito.
Non è mai stata una tradizione questa, neanche tanto per il passato. Mi sembra che il deficit in questo momento sia tanto più rilevante e occorrerebbe porre rimedio. Se chiedete a noi operatori delle scuole e ai docenti delle scuole, se ne sa veramente poco. Succederà un giorno che bisognerà darsi veramente da fare ma su che cosa e con quale consapevolezza, questo è un problema che verrà poi. Tanto vale prevedere e partire in anticipo su questa esigenza, cioè di rendere consapevoli e di far partecipare all’elaborazione il personale della scuola. Seconda cosa. Non so se si può ancora dire integrata, però il canale di cui stiamo parlando è sicuramente un canale integrato. Integrato significa che vede la partecipazione di vari o più soggetti. Questa partecipazione di vari e più soggetti va in qualche modo prevista, strutturata, definita, resa possibile; altrimenti continueremo a parlare di incontro per esempio con il mondo del lavoro, sapendo benissimo che in tante parti del nostro paese questo incontro col mondo del lavoro incontra delle difficoltà praticamente allo stato e insormontabili: tessuto produttivo carente, tessuto produttivo non consapevole, non disponibile, impianti e strutture di formazione professionale regionali che vanno dall’inesistente o dall’appena sufficiente. Se non si lavora contemporaneamente anche su questi aspetti, qualsiasi cosa nascerà, troverà naturalmente dei momenti, dei punti di eccellenza in alcune regioni e in alcuni posti, ma troverà delle cadute, delle inefficienze gravi e delle assenze totali in tanti altri posti. Scusatemi, rischio di essere banale, ma mi pare che questa sia l’esigenza. Terza cosa. C’è molto nella scuola statale. C’è veramente molto. Non mi riferisco solamente alle esperienze che l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale sta compiendo da più di dieci anni attraverso progetti ed esperienze. Ci sono una quantità di cose che fanno la ricchezza di questa nostra scuola di cui tante volte a torto si parla male, notevolmente a sproposito nella maggior parte dei casi. Solo a titolo di esempio, tanto per provare a farmi capire nonostante la mitezza del mio ragionamento. Quello che si è preparato, si è predisposto, per esempio, per la gestione dell’obbligo formativo, dei moduli di obbligo formativo è materiale estremamente pregevole, è estremamente utile. Tutto lì. Può essere tranquillamente utilizzato per costruire i percorsi. Il lavoro fatto appresso alla formazione tecnica superiore per altri aspetti pure, pensate al network di impresa formativa simulata che è una modalità di funzionamento di tattiche stranamente significativa ed efficace. C’è una rete in Italia che è amplissima e che è in via anche di internazionalizzarsi. Non ci consentiamo con troppa facilità di cassare questa parte di quello che c’è e che fa la ricchezza e perciò consentirebbe di essere estremamente utile. E parlo anche dell’esperienza di alternanza lavoro, ma dell’esperienza di auto imprenditorialità con le leggi 440 che sono state finanziate per anni in decine e decine di scuole: esperienze che sono estremamente significative. Non ci facciamo prendere dalla voglia di far tutto nuovo, non è assolutamente necessario. C’è la ricchezza che il professor Molinari faceva intendere dalle sue parole nel suo tipo di organizzazione: c’è altrettanta, e date le dimensioni, forse più ricchezza che nell’istruzione statale. Quarta cosa e finisco. Io ho vissuto due momenti drammatici dal punto di vista psicologico negli ultimi anni, quando è stato elevato l’obbligo scolastico e quindi mi sono arrivati a scuola i ragazzini che normalmente non venivano perché non si dovevano iscrivere; e due, quando abbiamo attivato con il concorso della Regione dei moduli di obbligo formativo. Mi sono arrivate delle persone della cui esistenza – e io sono da trent’anni nella scuola – io non ero consapevole. C’è una marea, ed è questo il 30% forse di cui parlava il Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, gran parte è questo. Che cosa voglio dire? Questi ragazzi, questi bambini – perché a volte sono quindicenni, son proprio piccoli – questi bambini hanno dei bisogni precisi. Forse noi con troppa superficialità gli affidiamo degli obiettivi che forse non gli appartengono. Questi ragazzi e queste ragazze hanno bisogno forse di qualcosa di diverso, hanno bisogno di socializzare, hanno bisogno di stare insieme, hanno bisogno di imparare il rispetto delle regole, hanno bisogno di quelle competenze di base che servono per l’esercizio della cittadinanza attiva, a cominciare dal leggere e dallo scrivere al finire per sapere usare la tecnologia. Tutto questo è propedeutico per qualsiasi canale di formazione professionale. Per favore non ci dimentichiamo questa cosa. Se no ricadiamo nella logica dell’apprendistato tout court, nelle accezioni peggiori pure qui evocate a questa tavola rotonda. Noi dobbiamo guardare alle esigenze di questa fetta di popolazione. Io sono molto contrario alla questione dell’abolizione dell’obbligo e non per un motivo qualsiasi. Il motivo per cui io sono contrario è perché questi ragazzini, che prima erano obbligati e adesso non lo sono più, io li ho tenuti, ci ho potuto provare, ho potuto attivare delle pratiche per tentare di farli uscire dalla loro emarginazione. Adesso con gli accordi quadro Regione-Ministero ci riproveremo. Anche perché noi nella scuola siamo ottimisti e speranzosi: siamo costruttori. Non ci piace stare a criticare. Quindi io li tenevo, e avrei preferito continuare a tenerli. Concludo. Facciamo una riflessione? Nessuno ne parla mai ed è una mia fissazione. Noi ragioniamo sempre di ragazzi che non conosciamo. Qui dovremmo attivare un servizio permanente di analisi della condizione giovanile: sapere chi sono, cosa vogliono, cosa desiderano, cosa hanno in testa, in quali valori credono, come immaginano il loro futuro. E non è vero che va bene il meccanismo all’incontrario, e cioè stabilire dei percorsi e poi calarglieli addosso. E’ vero il contrario: noi dobbiamo avere rispetto di questa condizione giovanile. Se solo la comprendiamo fino in fondo forse saremo in grado di attivare percorsi di formazione utili.

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